Articoli su Giovanni Papini

1918


Luigi Giovanola

in "I libri di cui si parla":
Testimonianze, di G. Papini

Pubblicato in: I libri del giorno, anno I, fasc. 4, p. 183
Data: luglio 1918




   Il Papini ha ragione di chiamare "non critici", questi suoi nuovi saggi, che formano la terza serie di quelli ch'egli va raccogliendo man nano in collane di ventiquattro ciascuna. Ha ragione, poichè in verità egli è troppo parziale per essere buon critico, e anzi per essere un critico, semplicemente, senza aggettivi qualificativi. E anche qui, si capisce, è la sua parzialità che del resto più di ogni altra cosa ci interessa, in quanto da essa e per essa ci è dato di vedere un uomo intelligente e colto così com'è, con le sue passioni non infinte, con tutte le sue simpatie e le sue antipatie ostense e qualche volta anzi persin ostentante; ma insomma, ci è dato di conoscere un uomo, e sia pure attraverso lo specchio più o meno fallace della letteratura, e di leggergli nel cervello, se non nel cuore.
   Perchè bisogna confessare che, più che gli autori che stronca o esalta, quel che ci attira e ci interessa è ancora lui, il Papini, questo letterato che odia o dice di odiare la letteratura, questo poeta che ai beffa della poesia. quest'innamorato del bello e del buono che si arma del proprio odio e del proprio disdegno per più amare e per più esaltare, quesito irto groviglio di contraddizioni e di involuzioni che pure ha una sua logica e una sua evoluzione. Che cos'è infatti questo suo nuovo libro, come quelli che l'hanno preceduto, se non un altro lungo capitolo aggiunto a quel suo romanzo di se stesso ch'egli, per suprema ironia, ha voluto intitolare un uomo finito?
   Sicchè in fondo i suoi odi e i suoi amori, quali traspaiono da queste sue pagine, non ci sorprendono gran che. Conoscendo l'uomo e i suoi precedenti, possiamo indovinarli, con la quasi certezza di non errare, dando semplicemente una scorsa ai nomi che compaiono nell'indice. C'è da scommettere a priori, ad esempio, che Giovanni Bettacchi, che Maurizio Maeterlinck, che il Cavour del Rumini, che Guglielmo Tell, abbiano le sue più cordiali e più aperte antipatie; mentre i suoi idoli — perchè non ci sono per il Papini le mezze misure — si chiamano Oriani e Poe, e il tipo dell'uomo totale, da prendere a modello se vogliamo veramente rigenerarci dopo la guerra, è per lui il carattere di quel Don Ferrante manzoniano "cui non piaceva nè comandare nè ubbidire". Tutto sommato però, e a lettura compiuta, si vedrà che nel bilancio, malgrado le pose gradasse e le parole troppo vivaci, l'amore supera l'odio, e che in fondo nel Papini, il quale è soprattutto temperamento di polemista, la generosità e l'entusiasmo sono virtù coltivate e attive non meno dell'animosità e del dispregio, malgrado tutti i suoi sforzi per dissimularle a sé oltre che ad altrui. E basterà osservare, a questo proposito, com'egli finisca il libro stroncando perfino lo scrittore contemporaneo d'Italia che, per sua stessa ripetuta confessione, più ama ed ammira: voglio dire Giovanni Papini.


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